Da Gentile a Bottai
Nell’ambito della sua riforma, Gentile non curò il problema della formazione di tecnici capi officina, capi reparto, collaudatori, progettisti della lavorazione; eppure l’industria sia leggera sia pesante, dopo le difficoltà della guerra 1915-18 ed i disordini che ad essa seguirono, aveva bisogno di riprendere il proprio sviluppo e necessitava dell’inserimento di personale in grado di creare nuove forme di organizzazione della produzione, sul modello degli altri paesi europei; si continuava invece a pensare all’Italia come a un paese prevalentemente agricolo, senza una precisa prospettiva di destino industriale, al quale guardare per il futuro.
La soluzione di questo problema fu affidata al Ministero dell’Educazione Nazionale, che provvide alla ristrutturazione delle varie iniziative d’istruzione professionale: un nuovo provvedimento legislativo suddivise le scuole in quattro gruppiriguardanti i diversi mestieri, per i quali si riteneva necessario un addestramento pratico meglio corrispondente alle nuove esigenze emerse dai mutamenti verificatisi dopo la prima guerra mondiale. Qualcosa, quindi, si mosse e qualche passo in avanti nell’istruzione professionale fu effettuato. Nel fascismo non vi era ancora la consapevolezza (o forse c’era la paura?) della necessità del progresso professionale e culturale delle masse, perché il paese progredisse economicamente. Infatti Mussolini e i gerarchi non mancarono di mostrarsi preoccupati per lo sviluppo culturale ed intellettuale del popolo e tesero a mantenere, attraverso il sistema scolastico nelle sue varie forme i giovani lavoratori sotto controllo, evitando che essi avessero modo di dedicarsi alla politica. Il fascismo, come è stato ripetutamente osservato dagli storici, non volle mai incoraggiare la mobilità sociale, cui gli anni giolittiani, avevano lasciato un qualche spazio, ma attraverso i corsi professionali, sempre riservati alle stesse maestranze, legò ancora di più i lavoratori all’attività che svolgevano, accompagnandola con interventi paralleli d’istruzione strettamente connessi alla medesima attività.
Giovanni Gentile abbandonò il Ministero della Pubblica Istruzione poco dopo il delitto Matteotti e gli successe, per un breve periodo, il liberale Antonio Casati (1 Luglio 1924 – 4 Gennaio 1925). Superata la crisi Matteotti, allontanati gli ultimi ministri di estrazione liberale, fu chiamato alla Minerva Pietro Fedele, fascista e cattolico, che vi rimase fino al Luglio 1928.
Sul piano ideologico e su quello sociale, non era mancata alla riforma Gentile una seria opposizione dei partiti antifascisti; ma essa fu oggetto di ostilità anche da parte di alcuni influenti gruppi di fascisti, non solo per l’introduzione dell’esame di Stato, ma per i criteri di severità e di selettività, che limitavano la possibilità di raggiungere i gradi più elevati degli studi a quella piccola e media borghesia, che aveva costituito la base sociale del partito. Si temeva, insomma, che la insoddisfazione per gli eventuali insuccessi scolastici dei propri figli si trasformasse in disamore per il partito.
Le pressioni provenienti da questi ambienti indussero il ministro Fedele a concedere, per gli esami di Stato del 1925, una terza sessione, che lasciava intendere il proposito di volere intervenire sulla riforma gentiliana per operare quei ritocchi, che le avrebbero dato maggiore elasticità, ma avrebbero finito per svuotarne le finalità.
Si trattava di ritocchi apparentemente marginali, ma tali da intaccarne alcuni dei principi fondamentali; essi incidevano, soprattutto, su quella rigorosa e drastica disciplina educativa degli alunni senza la quale non sarebbe stato possibile garantire la serietà della scuola. Ad esempio, la composizione delle commissioni degli esami di maturità comincia ad essere oggetto di revisione, con la riduzione del numero dei professori universitari al fine di conseguire una valutazione meno intransigente di quella voluta dal filosofo siciliano. Nel luglio del 1928 il posto di Fedele fu preso da Giuseppe Belluzzo, ingegnere, professore al Politecnico di Milano, di tutt’altra formazione e tutt’altra mentalità rispetto ai suoi predecessori. All’interno del fascismo si era avvertita la necessità di adeguare l’organizzazione italiana dell’istruzione a quella dei paesi più avanzati nella ricerca scientifica e tecnologica; la scelta di Belluzzo era stata effettuata in risposta a tale programma. Senza dimenticare i quadri dirigenti, i quadri intermedi e il personale esecutivo, egli si propose il compito di delineare una scuola tecnica capace di preparare la manodopera della quale le attività produttive del momento avevano bisogno per il loro incremento quantitativo e qualitativo.
Egli decise il passaggio, dal 1 Luglio 198, di tutta l’organizzazione scolastica tecnica e professionale al Ministero dell’Educazione Nazionale; la decisione ebbe una motivazione politica, perché la scuola cominciava ad essere considerata come veicolo del consenso e l’assegnazione di tutte le scuole ad un unico ministro avrebbe facilitato iniziative di propaganda e di proselitismo, a tutto danno del futuro culturale dei cittadini e dello sviluppo economico dello stato.
I Patti Lateranensi, stipulati tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica nel Febbraio 1929, affermando che “l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”, apportarono un’ulteriore novità estendendo l’insegnamento della religione alle scuole di ogni ordine e grado (Gentile l’aveva introdotta solo nella scuola elementare). Consapevole dell’importanza del riconoscimento “ufficiale” che derivava al fascismo ed al suo segretario dal fatto stesso che un’istituzione millenaria come la Chiesa accettasse di trattare con lui, Mussolini fu largo di concessioni, nei confronti del mondo cattolico ed infatti, tra gli aspetti più significativi della politica scolastica fascista, ci furono i provvedimenti, a partire dalla finedegli anni Trenta, a favore delle scuole private, la maggior parte delle quali erano cattoliche. Con il R.D.L. 3 Giugno 1938 (convertito il legge nel Gennaio del 1939) si promossero una serie di disposizioni che facilitavano il riconoscimento legale, o parifica, delle scuole private, che avessero corrisposto a certi impegni di gran lunga più lievi di quelli, che precedentemente erano stati richiesti. Dal Novembre 1936 il ministro Giuseppe Bottai favoriva ulteriormente l’espansione della scuola privata e dava ad essa una organizzazione unitaria, per farne l’alternativa alla scuola pubblica più aderente alle pretese del regime. Ma la scuola privata, soprattutto quella cattolica, si sottrasse allo stretto abbraccio, che il ministro fascista aveva cercato di offrirle. Infatti, la Chiesa si servì del nuovo strumento del “riconoscimento legale” per promuovere numerose istituzioni di scuole ecclesiastiche e religiose, all’interno delle quali curò l’insegnamento e la diffusione del credo cattolico e non quello del fascismo; fu la stessa Santa Sede ad assumere con il massimo rigore il controllo dell’organizzazione scolastica cattolica e non mancò di invitare i vescovi, perché intervenissero nelle proprie diocesi per eludere gli interventi politici e garantire la più ampia libertà di insegnamento.