Donne …. Un mare di guai (non sempre)
L’istituto Carducci ha avuto fin dalla sua nascita un’utenza prevalentemente femminile, anzi sorse come Scuola Normale Femminile e anche quando si cercò, con ogni mezzo, di incrementare il numero degli studenti maschi, non si ottennero grandi risultati. Il Regio Decreto 2 luglio 1929 aveva infatti accordato agli alunni maschi l’esonero totale dal pagamento delle tasse di immatricolazione, frequenza e abilitazione e aveva istituito sempre per loro cospicue borse di studio, ma gli iscritti di quell’anno erano solo 35 su un totale di 188 alunni, l’anno successivo comunqueci fu un discreto incremento, raggiungendo il ragguardevole numero di 55 con un forte aumento nella classe prima del corso inferiore.
La parte femminile rimase negli anni, in ogni caso, la più vivace, in primo luogo culturalmente, numerose furono le alunne o le docenti che si distinsero nella vita cittadina, per trovare una conferma a tutto ciò è sufficiente scorrere il volume di B.
Bignozzi, Donne Ferraresi, realizzato nel 2004, in occasione dell’anno della donna; ebbene in tale opera, che presenta profili di donne ferraresi di ieri e di oggi, accomunate “dall’essere donne straordinarie nella quotidianità del loro impegno per far crescere questa nostra società”, cinque, tra queste protagoniste, sono legate, o come docenti, o come allieve, all’istituto Carducci.
Ma è senza dubbio nel comportamento che le alunne del Carducci da sempre si sono distinte…anche per originalità; dalle vecchie carte emergono tre storie curiose e affiorano tre simpatiche fanciulle: Vittorina, Erminia e M. Giovanna.
La prima frequentava la classe seconda dell’istituto nel lontano 1912, quando la scuola era ancora comunale, non era molto studiosa e nel secondo trimestre si ritrovò con un 4 in italiano orale. Era aprile e cominciò a disperare della promozione, in preda al panico ebbe la sventura di incontrare, “nel pubblico passaggio che da via Canonica conduce al Duomo” , la sua insegnante di italiano, dalla quale volle sapere la ragione del suo voto; quando l’insegnante le fece notare che il voto era stato meritato secondo la media dei voti conseguiti, ma che volentieri le avrebbe dato un otto se, con lo studio, lo avesse meritato, forse suggestionata dalla presenza delle amiche, non si controllò più e conchiuse” e lei si merita questo” dando all’insegnante stupita uno schiaffo. Il fatto accadde il 16 aprile alle ore 12,10, immediatamente la docente comunicò al Direttore, con un rapporto scritto, l’accaduto; le tre compagne, che erano con lei, riferirono subito i fatti alla maestra assistente e il giorno successivo sottoscrissero una dichiarazione; il 18 aprile il Direttore convocò d’urgenza, per il pomeriggio stesso, il Consiglio dei Professori che, all’unanimità deliberò l’allontanamento definitivo di Vittorina dalla scuola. Il padre, informato del “doloroso incidente”, riprovò “l’atto inconsulto” e chiese, tramite lettera, “all’On.le Consiglio dei Professori di trovare una circostanza attenuante per non aggravare soverchiamente la mano su chi è già amaramente pentita”; di fronte alla durezza delle decisioni prese dalla scuola, si rivolse all’Avvocato Aldino Aldini per avviare un ricorso alla competente autorità scolastica, la Giunta Provinciale di vigilanza sulle scuole medie che, in data 28 maggio , sentenziò che “la punizione inflitta all’alunna Z. Vittorina non porta conseguenze nei riguardi d’alcun altro istituto governativo o pareggiato”.
Poiché nel settembre successivo la Scuola Normale Carducci cessò di essere comunale e divenne statale, Vittorina poté nuovamente iscriversi e mettersi a studiare italiano.
Anche Erminia andò incontro ad un’espulsione dal Regio Istituto Magistrale di Ferrara. Era l’anno 1936, quando fu adottato il provvedimento nei suoi confronti per aver prodotto false dichiarazioni: si era presentata infatti a sostenere gli esami nella città estense, non essendo nelle condizioni di poterlo fare, poiché aveva tentato la prova nella sessione precedente nella sua città, Rimini.
Erminia non chiese aiuto ad un avvocato per far annullare le decisioni della scuola, non aveva i soldi, non aveva neppure un papà solerte come quello di Vittorina, viveva con la mamma, che, con continue privazioni, era riuscita a farla studiare fino all’età di vent’anni; pertanto si rivolse direttamente al Provveditore, ma aveva la storia dalla sua parte: il 14 febbraio 1937 era nato il Principe di Napoli, Vittorio Emanuele di Savoia e “in occasione del fausto evento il Ministro dell’Educazione Nazionale ha disposto che siano condonate tutte le punizioni inflitte agli alunni di tutti i Regi Istituti del Regno”.
Erminia però non fu molto fortunata: a lei non fu concesso il perdono totale, ma solo una riduzione di punizione, per cui nel giugno ’37 non poté ritentare la prova, per porre fine ai sacrifici della mamma.
Pure M. Giovanna aveva una mamma pronta a sacrificarsi per lei, era “una modesta operaia rionale, mossa dal legittimo ed encomiabile desiderio di dare un’istruzione all’unica sua figlia”.
Su questa figlia esistevano tuttavia pareri un po’ diversi, la preside M. Menghini Maj così si esprimeva: “la quale rivela inclinazioni pericolose e tiene un contegno che non è da ragazza seria”; il fiduciario del Gruppo Rionale Edmo Squarzanti, che assecondava con piccoli contributi il desiderio della madre, affermava “ha sempre addimostrato una particolare attitudine allo studio ed una intelligenza vivace”.
Nell’ottobre 1939 la preside, in esecuzione alle norme contenute nella “Carta della scuola” e precisamente di quelle norme per le quali la Scuola Fascista collabora con la famiglia e studia, indicandoli alla famiglia stessa, gli orientamenti spirituali degli alunni, aveva sconsigliato l’iscrizione di M. Giovanna, deludendo profondamente le aspettative della madre, che vide negato il diritto allo studio della figlia; in suo soccorso venne il Fiduciario che scrisse una lettera al Fascista Borzellino, Regio provveditore agli studi per perorare la causa; il provveditore chiese subito conto alla preside del suo operato, che fu da lui giudicato come sempre ineccepibile e rilevò che M. Giovanna non risultava iscritta semplicemente perché non aveva pagato la tassa di iscrizione; quindi nessuna discriminazione reale nei confronti di un’alunna un po’ troppo esuberante, ma siccome non era un maschio la sua frequenza era correlata al pagamento della tassa di immatricolazione e, visto che per tutta la durata della stagione estiva aveva collaborato gratuitamente presso il fascio femminile, l’associazione poteva ben provvedere.
E mentre i padri solerti, le mamme oberate dai sacrifici, i fiduciari premurosi forse sono scomparsi, le fanciulle generose, intraprendenti, non sempre rispettose dei regolamenti, talvolta impulsive continuano a vivacizzare l’istituto “Carducci”.