Il sistema magistrale era ridotto ad un sordido abuso di mestieranti
Prima della promulgazione nel Regno di Sardegna della legge Casati (1859), l’istruzione secondaria non aveva avuto particolare attenzione da parte dei governi degli Stati italiani; per quanto riguarda la formazione dei maestri per la scuola elementare, occorre far riferimento alla legge Lanza (n. 2878 del 20 giugno 1858), che istituì le “scuole normali per formare maestri e maestre”.
Ed è proprio nel clima costruttivo, seguito alla proclamazione del Regno d’Italia, che anche a Ferrara cominciò a maturare l’idea che l’insegnamento non potesse essere oggetto di improvvisazione e di buona volontà, ma richiedesse alcune fondamentali cognizioni, nonché il richiamo ad una concezione pedagogica.
Il giorno 8 settembre 1861, domenica, pertanto ”ad un’ora pomeridiana nel locale delle Scuole Notturne ebbe luogo l’inaugurazione delle Scuole Magistrali”; nonostante l’ora e il locale, si trattò di un avvenimento importante per la città, a cui parteciparono “cospicui personaggi nella splendidezza dell’apparato” e degno di essere descritto nella prima pagina della “Gazzetta Ferrarese” del martedì seguente.
L’esperienza fu avviata con discreto successo, tanto che la relazione, stilata dal prof. Raimondo Demuro, direttore di tali scuole, allora provinciali, al termine dell’anno 1863/64, fornì dati precisi, dando l’impressione di una buona organizzazione; l’istituto presentava infatti due corsi: uno inferiore per il conseguimento della patente di I e II elementare ed uno superiore per III e IV; i programmi seguiti erano quelli previsti dal Regio Decreto del 9/11/1861 e comportavano la presenza di 4 docenti in ciascun corso che impartivano l’insegnamento delle seguenti discipline: pedagogia, lingua italiana e regole del comporre, aritmetica e sistema metrico decimale, religione, calligrafia, lavori donneschi; al corso superiore subentravano scienze fisiche, storia e geografia, morale.
Esaminando il quadro orario, si nota la dominanza dell’italiano (6 ore settimanali), a cui vanno ad aggiungersi quattro ore di calligrafia, dal che si deduce che i futuri maestri dovevano soprattutto essere in grado di preparare allievi capaci di intendere la lingua italiana e di scrivere nella medesima, nell’ottica dell’unificazione linguistica del nostro paese, che avrebbe rafforzato quella politica, da poco avvenuta.
Le lezioni iniziavano il 1 ottobre e terminavano il 30 luglio; nell’anno scolastico 1863/64 furono esaminati 12 allievi della scuola maschile (8 furono approvati interamente, mentre 4 risultarono deficienti in qualche materia) e 15 allieve della scuola femminile (13 “approvate interamente”, 2 “rejette”); chi non frequentava regolarmente e si presentava agli esami in qualità di estraneo od uditore aveva scarse possibilità di superarli (su 16 maschi ben 11 “rejetti” e su 7 femmine 1 sola “approvata interamente”) .
Quale il profilo di questi alunni? Dalle parole del prof. Demuro apprendiamo che si era in presenza di studenti “docili, rispettosi, che avevano inteso l’importanza e la nobiltà della missione alla quale sono chiamati gli educatori dei teneri figli del popolo” .
Di tale scuola si trova testimonianza ancora l’anno successivo, nelle “Parole dette alle sue allieve dal Professore Raimondo Demuro, nella solenne inaugurazione dell’anno scolastico 1864-65”, prontamente pubblicate dalla Tipografia Bresciani di Ferrara e poi si perdono le tracce.
Nonostante i nobili propositi, le amministrazioni locali, nei decenni successivi all’unità, incontravano notevoli difficoltà a gestire l’istruzione, a partire da quella primaria, e d’altra parte il governo auspicava lo sviluppo scolastico, ma non era in grado di sostenerlo, per cui spesso si doveva far ricorso per il finanziamento a fondazioni, opere pie; in tale panorama Ferrara si trovò a non avere una scuola che preparasse i maestri, proprio quando con la legge Coppino del 1877 sull’istruzione obbligatoria il numero degli alunni delle scuole elementari, urbane e rurali, era duplicato.
Il Sindaco pertanto nello sforzo di ottemperare a tale innovazione legislativa “non risparmia spese, non pretermette premure” e fa istanza al Ministero della Pubblica Istruzione perché “in ossequio alla legge 13 Luglio 1877 voglia istituire a Ferrara una scuola di Corso Magistrale e conceda che la sessione d’esami di riparazione pel conseguimento della patente sia tenuta qui”, come sottolinea la “Gazzetta Ferrarese” del 13 ottobre 1877, ma, nel frattempo, gli aspiranti maestri sono costretti ad emigrare e, “per i meritevoli”, di distinta moralità… degni di dedicarsi all’insegnamento e in disagiate condizioni economiche, rimane la speranza, dopo il superamento di un esame di concorso, di un sussidio di “Lire 250 annue per un postosussidiato dal Governo presso la R. Scuola Normale Maschile di Forlì e per dueposti presso la Normale Femminile di Bologna”.