Introduzione
Introduzione
Prima della promulgazione della legge Casati nel Regno di Sardegna (1859), l’istruzione secondaria non aveva avuto particolare attenzione da parte dei governi degli Stati italiani. E del resto era naturale che fosse così: le famiglie nobili o dell’alta borghesia avevano i mezzi (più o meno ampi) per provvedere all’educazione dei loro figli, a seconda dei programmi che le famiglie stesse nutrivano per l’avvenire dei loro giovani. Era così naturale che essi avessero il loro apprendistato attraverso l’esperienza del “Grand tour”; mentre alle ragazze, specie in Italia, era riservata una educazione più libresca e musicale e pertinente a quelli che sarebbero stati i doveri di una buona madre e di una perfetta padrona di casa.
Gli anni rivoluzionari e napoleonici erano stati carichi di promesse, ma le difficoltà di ordine economico, politico e sociale e le condizioni stesse di precarietà a livello sia personale sia, soprattutto, politico impedivano non solo il conseguimento di risultati duraturi, ma addirittura una programmazione lungimirante.
Inutile ricordare quanto la Restaurazione considerasse pericolosa l’istruzione che si spingesse oltre un certo livello: solo una cultura guidata dalla Chiesa o da persone da essa delegate poteva garantire quell’ordine sociale e quella concordia interna tanto crudelmente distrutte e sovvertite dalle intemperanze dell’Illuminismo.
Il Regno di Sardegna fu lo stato italiano che, per primo, si diede un sistema scolastico organico inizialmente con la legge Boncompagni del 1848 (R.D 4 Ottobre 1848 n. 818). In essa si stabiliva un insegnamento secondario suddiviso in tre corsi: corso di grammatica della durata di tre anni, corso di retorica di due anni, corso di filosofia di due anni; il loro superamento dava diritto all’accesso all’università.
Quindi potente recupero dei classici, seguiti, nel caso di particolari interessi, da studi autodidattici su specifici argomenti; basti pensare alle ricerche di agronomia del conte di Cavour (cfr. A. Vinari, Cavour agricoltore. Lettere autografe inedite in Nel mondo dei Titani. Milano 1911); o alle ricerche di alta astronomia di cui ci narra Tomasi di Lampedusa a proposito del suo antenato Principe di Salina.
Per chi non avesse voluto o potuto affrontare questo percorso, esisteva un corso speciale sperimentale della durata di cinque anni, che dal 1853 prese il nome di “scuola tecnica”; essa addestrava all’esercizio delle professioni.
Il termine “professione” allora escludeva le attività manuali, che erano definite “mestieri”, per i quali non era prevista una propedeutica curriculare organizzata, ma un apprendistato all’interno di laboratori e botteghe artigiane.
Separata sia dall’insegnamento tecnico che dall’insegnamento secondario, era la formazione dei maestri per la scuola elementare, di cui si occupò soprattutto la legge Lanza (n. 2878 del 20 Giugno 1858), istituendo le “scuole normali per formare maestri e maestre”.
Si faceva sempre più evidente, infatti, quale immensa importanza avesse il maestro elementare nel formare e guidare il sentire e la formazione dei fanciulli e dei giovanissimi, inculcando nel loro animo e nelle loro menti i principi base su cui si fondava lo stato in cui vivevano.
Questo spiega, almeno in parte, la condizione di privilegio che, a partire dal 1936, ebbero i maestri diplomati, il cui titolo (conseguito in soli quattro anni rispetto ai cinque degli altri istituti superiori) era l’unico che avesse un valore “abilitante”, tale cioè da consentire immediatamente e senza alcuna ulteriore prova, l’accesso alla professione dell’insegnamento.Prendeva corpo proprio in quegli anni l’idea che l’insegnamento non potesse essere oggetto di improvvisazione e di buona volontà, ma richiedesse una pur minima conoscenza dei più diffusi principi pedagogici.
Questi provvedimenti, come molti altri, richiesero tempi lunghissimi, a causa delle difficoltà di ordine finanziario e per la mancanza di personale docente preparato, cui affidare il compito di istruire i futuri maestri.