La guerra e il dopoguerra
La guerra e l’occupazione tedesca rappresentarono un quinquennio di distruzioni materiali e morali, che colpirono la scuola in maniera più profonda di altre istituzioni, provocando sfollamenti, interruzioni degli studi per gli obblighi militari, carenza di insegnanti pure in buona parte in servizio militare, distruzione di edifici scolastici ad opera di bombardamenti e loro utilizzazione per scopi connessi al conflitto.
La situazione si fece più drammatica dopo l’8 Settembre 1943 quando le truppe naziste invasero l’Italia del nord, mentre le truppe anglo-americane risalivano lentamente dal sud: l’Italia rimase così per venti mesi divisa in due in balia al settentrione della Repubblica Sociale Fascista e mussoliniana, sotto la “protezione” germanica, che aveva tutt’altri problemi che quelli dell’educazione dei giovani alla cultura ed ai valori umani; al meridione invece il governo militare alleato aveva creato una Commissione per la scuola guidata dal pedagogista Washburne, che si adoperò per defascistizzare la scuola italiana e per la sua riorganizzazione. Va comunque ricordato che dopo l’8 settembre furono numerosissimi i giovani iscritti alla scuole superiori che lasciarono le loro case per darsi alla clandestinità della Resistenza.
Il fatto più significativo da sottolineare fu appunto la resistenza opposta dagli italiani all’occupazione tedesca, per mezzo di formazioni partigiane operanti in montagna e in pianura; i responsabili della Resistenza si preoccuparono, appena fu loro possibile, soprattutto nelle zone liberate dall’occupazione tedesca, di promuovere la riorganizzazione della scuola e di porre le basi per la sua corrispondenza ai principi della democrazia, per la quale i volontari della libertà si battevano. Con la liberazione e la ripresa della vita democratica il problema della scuola fu subito al centro dell’attenzione dei partiti politici, che ne proposero soluzioni nei loro programmi, soprattutto in occasione delle elezioni del 1946 per l’Assemblea Costituente.
Nel dibattito per l’elaborazione della carta costituzionale dell’Italia repubblicana, la scuola ebbe largo spazio soprattutto per i problemi posti dall’insegnamento della religione cattolica e dalla libertà d’insegnamento; si discusse a lungo tra cattolici e laici sull’opportunità di richiamare nella Costituzione il Concordato del 1929; con l’appoggio dei comunisti, fu approvata la costituzionalizzazione del Concordato.
Quasi un ventennio durò il dibattito avviato subito dopo l’approvazione della Costituzione repubblicana, per concretizzare il primo comma dell’articolo 34, secondo cui l’istruzione inferiore, impartita per otto anni, dovesse essere obbligatoria e gratuita. Si è già osservato come l’obbligo della scolarità fino al quattordicesimo anno fosse già compreso nella riforma Gentile, ma non era mai stato oggetto di seri controlli e pertanto, specie nelle zone più depresse e nelle fasce sociali meno fortunate, era stato largamente evaso. Ora l’obbligo non discendeva da una legge, ma dalla Costituzione e pareva che non potesse essere messo in discussione; si trattava inoltre dell’adeguamento della situazione italiana a quella della grande maggioranza dei paesi europei.
Degli otto anni d’obbligo, cinque erano destinati alla frequenza della scuola elementare e su questo punto non vi era discussione. Per il triennio successivo, dagli undici ai quattordici anni i dissensi erano profondi. Quindi, sulla tipologia e sulla natura di questa scuola la discussione fu intensa e serrata, il confronto raggiunse momenti di asprezza e di tensione fino ad arrivare al 1962, quando si giunse all’approvazione (legge 31 Dicembre 1962 n. 1859) della scuola media statale unica.
Superato il difficile scoglio della scuola secondaria inferiore obbligatoria, rimanevada affrontare quello della scuola secondaria superiore, nella quale vigeva, con pochissimi aggiornamenti, il sistema gentiliano, oggetto da ogni parte di critiche, che muovevano da ottiche diverse e che lasciavano intendere la volontà di raggiungere finalità diverse.