La legge Casati

CasatiTralasciando di riferire altri interventi legislativi, è interessante soffermarsi sull’impostazione data al sistema di istruzione del Regno di Sardegna, esteso, dopo la proclamazione dell’Unità, a tutto il Regno d’Italia (R.D. 13 Novembre 1859 n. 3725).

La legge Casati, come viene chiamata dal nome del conte, ministro della Pubblica Istruzione, che la propose, costituì un grande avvenimento storico; l’impianto era organico ed accentrato e durerà, nelle linee generali che l’hanno caratterizzato, quanto meno fino alla riforma Gentile e, per vari aspetti, anche oltre.

Nel disegno politico sociale complessivo la Casati si presentava con un programma apparentemente moderato, che puntava attraverso l’istruzione classica e universitaria, alla formazione di una classe dirigente di selezionata estrazione borghese; riservava un modesto spazio all’istruzione tecnica, ben separata e distinta; scaricava, salvo il controllo centrale del Ministero, sulle gracili e restie spalle dei Comuni l’istruzione elementare, cioè l’istruzione del popolo, quella cui erano destinati i fanciulli delle classi meno abbienti.

Come scrisse Collodi in Pinocchio (1883), quando questi giovani avessero imparato a leggere, scrivere e fare di conto, (e non tutti ci riuscivano) erano più che pronti per trovarsi un lavoro, sposarsi e dare vita a bambini destinati alla loro stessa sorte.

Ma tutto questo interessava poco a Casati ed al suo governo, che affermavano che l’istruzione secondaria classica “aveva lo scopo di ammaestrare i giovani in quegli studi, mediante i quali si acquista una cultura letteraria e filosofica“, necessaria premessa agli studi universitari (art.188). E’ in questo articolo che vanno cercate le cause della sostanziale arretratezza nell’Italia di quegli anni negli studi delle lingue straniere, nei laboratori applicativi e di ricerca nelle materie scientifiche, con particolare riferimento alla fisica ed alla chimica. E’ indiscutibile che una formazione classica plasmi la mente di un giovane rendendola duttile a qualunque tipo di disciplina; ma è altrettanto vero che certi “ritardi” nell’apprendimento e nel metodo sono difficilmente superabili.

Non esisteva la distinzione tra ginnasio superiore ed inferiore ed il corso aveva la durata complessiva di sei anni; solo nel 1860 le classi ginnasiali divennero cinque, divise nei tre anni del ginnasio inferiore e nel biennio ginnasiale superiore che, attraverso il superamento di un esame, dava accesso al triennio liceale; la durata dell’istruzione classica fu elevata complessivamente a otto anni.

Nei confronti dell’istruzione tecnica la legge Casati precisava che essa aveva lo scopo di dare l’opportuna cultura generale ai giovani che intendevano dedicarsi a “determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose agrarie” (art. 272).

Anche l’istruzione tecnica veniva suddivisa in due diversi indirizzi: le scuole tecniche triennali e gli istituti tecnici anch’essi triennali. Si precisava che se l’istruzione classica doveva educare i giovani agli aspetti teorici, quella tecnica doveva conseguire risultati pratici;  nell’insegnamento dunque si dovevano privilegiare ”le applicazioni di cui possono essere suscettibili nelle condizioni naturali ed economiche dello Stato” La scuola tecnica triennale, successiva alla scuola elementare, non ebbe l’esclusiva funzione di corso inferiore degli istituti tecnici, ma assunse spesso caratteristiche autonome di scuola media di primo grado, senza il latino e dove si fornivano le basi per l’inserimento nel settore impiegatizio.

L’accesso all’università, si è detto, era previsto solo per i licenziati dai licei, ma nel regolamento di attuazione del 1860 fu istituita, tra le sezioni degli istituti tecnici, quella fisico-matematica, che consentiva l’iscrizione alla facoltà di scienze matematiche e naturali e che fu il primo riconoscimento, seppur parziale, del valore formativo, che gli studi scientifici e tecnici avevano alla medesima stregua di quelli umanistici. Ma, quasi in contrapposizione a questa decisione, con interventi 15 di personaggi di spicco quali Quintino Sella e Francesco De Sanctis, venne deciso il trasferimento dell’istruzione tecnica e di tutte le scuole professionali esistenti al Ministero, appena costituito, dell’Agricoltura, Industria e Commercio. Per De Sanctis, in particolare, la cultura classica e quella scientifica si basavano su presupposti troppo diversi per poter essere amministrate ed organizzate da uno stesso Ministero.

In tutti gli articoli della legge Casati è costante il problema del finanziamento dell’istruzione: si richiama in più occasioni l’intervento di comuni, province, fondazioni, opere pie per consentire quello sviluppo scolastico, che il governo auspicava nella voragine economica dei problemi post unitari, ma che non era in grado di sostenere.Un discorso a parte, nell’ambito della legge Casati, merita l’istituzione delle scuole normali per gli allievi maestri, che, proseguendo nella politica già seguita negli anni precedenti dallo Stato Sardo, confermava la volontà di formare un corpo stabile di insegnanti elementari laici, ai quali affidare l’istruzione inferiore con la certezza che si trattasse di persone dotate della preparazione indispensabile per svolgere tale attività.

Le scuole normali erano divise in maschili e femminili, non erano considerate scuole secondarie e non avevano neppure un corso inferiore; soltanto nel 1896 il ministro Emanuele Granturco ne decise ufficialmente l’istituzione. Il corso era triennale e l’iscrizione avveniva, senza richiesta di precedenti titoli di studio, con il superamento di un esame al quale erano ammessi i giovani di sedici anni di età e le giovani di quindici. Dopo due anni gli alunni potevano conseguire la patente di insegnamento nel corso inferiore della scuola elementare, dopo tre anni l’insegnamento nel corso superiore. Il bilancio della pubblica istruzione avrebbe previsto lo stanziamento annuale di una somma per sussidiare gli alunni meritevoli e bisognosi, allo scopo di incentivare la frequenza a questo corso di studi, ritenuto così importante per la diffusione nel paese dell’istruzione di base e per combattere l’analfabetismo così paurosamente diffuso, specie nel Sud e nelle zone più povere del Centro-Nord.

La legge Casati prevedeva che l’insegnamento nelle scuole normali dovesse vertere sulle seguenti discipline: lingua ed elementi di letteratura nazionale, elementi di geografia generale, geografia e storia nazionale, aritmetica e contabilità, elementi di geometria, nozioni elementari di storia naturale, di fisica, di chimica, norme elementari di igiene, disegno lineare e calligrafia, pedagogia. Per i maschi, in particolare, si sarebbero aggiunti un corso elementare di agricoltura e uno di nozioni generali dei diritti e doveri dei cittadini con riferimento allo Statuto, alla legge elettorale, all’amministrazione pubblica; per le femmine invece un corso di lavori femminili. L’impostazione culturale avrebbe dovuto essere caratterizzata dall’insegnamento della pedagogia, ma i programmi di questa disciplina erano molto limitati e gli insegnanti, in possesso di un titolo riconosciuto, non sempre erano all’altezza dei loro compiti. Le scuole normali nascevano quindi con dei limiti, che indicavano la scarsa incidenza che avrebbero avuto e che più volte gli studiosi di problemi pedagogici ebbero a denunciare. Soltanto nel 1896, come ricordato, il ministro Granturco propose nuovi programmi di insegnamento, che contribuirono a migliorare la situazione insieme alle competenze specifiche degli insegnanti.

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