Odissea nello spazio (che non c’è)
Nonostante la lentezza e la sostanziale evanescenza che contraddistinguono la politica, la tendenza alla crescita della popolazione scolastica negli Istituti magistrali statali, manifestata fin dai primi anni Cinquanta, non si arresta nel decennio successivo. A livello locale, il fenomeno è talmente massiccio che nel 1963 il Comune di Portomaggiore chiede, senza ottenerla, una sede staccata dell’Istituto magistrale cittadino, onde evitare un massiccio pendolarismo degli studenti portuensi verso la sede delle Magistrali ferraresi. Sembra quindi ribaltarsi la situazione rispetto all’inizio del secolo, quando erano gli aspiranti maestri ferraresi a doversi spostare, anche di parecchi chilometri, per seguire un regolare corso di studi: ora è la scuola ferrarese ad attrarre studenti da fuori.
In una relazione stilata nell’ottobre dello stesso 1963, il preside de Manincor, sollecitando ancora una volta i sospirati interventi strutturali, afferma che “prevedere una flessione della frequenza scolastica negli Istituti Magistrali è una illusione”; la considerazione del preside è supportata dai dati nazionali, che attestano per l’anno scolastico 1962-63 una percentuale di iscritti alle magistrali pari ad oltre il 44 per cento del totale degli studenti superiori.
La fame di spazi dà luogo anche ad ipotesi che sembrano estremamente appetibili: nel maggio 1965 il sindaco di Ferrara scrive al provveditore agli studi, in merito ad una richiesta del preside di allestire come sede unica dell’Istituto magistrale il palazzo Trotti Mosti. L’aspetto più sconcertante della vicenda è il fatto, testimoniato da una lettera del 21 maggio dello stesso anno, che il provveditore non ne sappia nulla, come lui stesso riferisce al Comune. Il seguito dell’ipotesi è noto: il prestigioso palazzo rinascimentale, all’angolo tra le vie Ercole I d’Este e Arianuova, verrà restaurato soltanto molti anni più tardi e non per ospitare il “Carducci”, ma la Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo estense.
Ancora una volta, il “Carducci” è costretto a subire la politica dell’emergenza e, benché forte di oltre milleduecento alunni, li deve disseminare fra ben cinque sedi: via de’ Romei, la scuola elementare “Alda Costa” (che mette a disposizione quattro aule), le elementari “Alfonso Varano” di via della Ghiara (dove le aule disponibili sono sette), altre otto classi alla “Guarini”, a cui occorre aggiungere il giardino d’infanzia di via Mayr.
E’ l’unico modo, in assenza di una sede adeguata, di sistemare le trentotto classi di quell’anno (il problema sarà ancora più grave quando le classi saranno quarantacinque).
La seconda metà degli anni Sessanta si apre con un nuovo avvicendamento alla presidenza del “Carducci”: a Giuseppe de Manincor succede Lorenzo Pollini, proveniente dal Liceo classico di Montepulciano, in Toscana. Come si può ben immaginare, uno dei primi problemi, e di più lunga durata, che il nuovo arrivato si trova ad affrontare è sempre quello degli spazi.
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