Presenti tutti gli insegnanti in divisa, tutti gli alunni in divisa
Il 18 ottobre 1937 la preside M. Menghini Maj scriveva al provveditore una nota, avente per oggetto la cerimonia di apertura dell’anno scolastico, riferendo che la cerimonia era stata “austera nelle forme”, ma si era svolta in “un’atmosfera vibrante di commozione”; il discorso tenuto da lei stessa si era uniformato “per contenuto e per forma alle indicazioni date dal Ministero…presenti tutti gli insegnanti in divisa, tutti gli alunni in divisa” 35 ; il quadro che traspare da questo scritto è quello di una scuola totalmente fascistizzata e irreggimentata, dato confermato anche dall’Annuario relativo agli anni scolastici 1932/33 e 1933/34, dove si può constatare che la totalità degli alunni iscritti risulta tesserata all’Opera Nazionale Balilla.
Tutto ciò rientra nel processo in atto nella scuola italiana di controllo da parte del Regime, processo iniziato fin dal 1923 con la riforma Gentile, voluta da Mussolini nella consapevolezza dell’importanza che aveva la scuola per la creazione del consenso; gli interventi in tale ambito proseguirono negli anni successivi, sia controllando i libri di testo che fascistizzando gli insegnanti, attraverso l’imposizione del saluto romano, del giuramento di fedeltà, l’obbligo di indossare la divisa e, a partire dal 1937, di iscriversi al PNF, tuttavia il tentativo di fare della scuola uno dei veicoli di propaganda del fascismo, ottenne risultati meno incisivi di quanto ci si era aspettati e l’adesione dei docenti, anche se rari furono i casi di opposizione, risultò per lo più generica.
Questo vale anche per l’istituto “Carducci”, che, innanzitutto costituiva un’eccezione nel panorama della scuola superiore italiana: una serie di decreti legge emanati dal 1926 in poi aveva infatti prodotto una vera e propria defeminilizzazione del corpo insegnante, ma quando fu sbarrato alle donne l’accesso alla funzione di presidi, il “Carducci” fu guidato per ben 14 anni (dal 1 ottobre 1927 al 1 settembre 1941-aspettativa per malattia) da Maria Menghini Maj, contemporaneamente le cattedre di quelle discipline, come italiano, latino, storia e filosofia, ritenute cardine della riforma Gentile, vietate nei licei alle donne, nel nostro istituto furono per tutto il ventennio assegnate a docenti appartenenti al gentil sesso. Tali scelte possono anche essere interpretate come un tentativo di relegare le donne, sia allieve che docenti, nelle magistrali, in un’ottica che prevedeva insegnamenti che avrebbero dovuto avviare le studentesse a mansioni domestiche o ad impieghi subalterni e puramente esecutivi. E’ difficile tuttavia immaginare all’istituto “Carducci” di quegli anni alunne prive di interessi ed abituate ad una ricezione passiva, in quanto numerosi erano gli stimoli culturali e le attività che venivano loro proposte, permettendo una notevole visibilità nella città e prospettando un futuro nella sfera pubblica da protagoniste.
Anche l’esempio della loro preside le indirizzava su questa strada, la Menghini Maj era sì una dipendente obbediente, che rispettava quanto la Pubblica Amministrazione le richiedeva e quindi faceva pubblicare gli annuari, riportando le parole dei discorsi di Mussolini, tuttavia precedute dalla fotografia di G. Carducci e dai suoi insegnamenti, a sottolineare che la cultura era ciò che contava. Non mancava inoltre di commemorare solennemente la Marcia su Roma e di far ascoltare i discorsi pronunciati dal Duce, ma nello stesso tempo favoriva le iscrizioni alla “Dante Alighieri”, istituiva un corso facoltativo di lingua francese di durata biennale che ottenne molto successo, promuovendo pure una corrispondenza scolastica internazionale, per consentire lo scambio di idee e organizzava conferenze di storia dell’arte e concerti per l’educazione musicale.
E soprattutto lavorava “quotidianamente con diligenza” e non era in quegli anni un compito facile; i controlli e le pressioni dall’esterno erano all’ordine del giorno, bastava poco infatti, in particolare dopo che era stata varata, il 15 febbraio 1939, la Carta della Scuola, che reclamava un’assoluta centralità delle istituzioni educative nelle vicende politiche, materiali e morali d’Italia, per scatenare il febbrile interessamento del Segretario Federale.
Gli ultimi giorni dell’aprile 1940, quando la guerra era dietro l’angolo, il Segretario Federale condusse accertamenti nei confronti del prof. Antonio Rinaldi, supplente di italiano e storia del corso superiore, denunciato da un genitore, perché la figlia (studentessa del Carducci) gli aveva riferito che l’insegnante avrebbe detto che “gli Inglesi combattono per la libertà, cosa di cui noi non saremmo capaci e che gli Italiani che sono andati in Spagna e in Africa erano dei disoccupati e dei vinti della vita” .
Non appena la preside ricevette la richiesta del provveditore che voleva sapere come si erano svolti i fatti, sottopose ad interrogatorio e senza che potessero avvenire conversazioni intermedie 5 alunne, tra le più diligenti, che riferirono che il professore aveva detto che l’Italia porta nelle colonie la civiltà e che l’alunna in questione aveva capito male, cosa confermata dalla stessa; da ultimo fu sentito il docente che chiarì quanto aveva spiegato. A conclusione dell’indagine, la preside inviò una nota scritta a mano alle ore 11.30 del 22 aprile, in cui testimoniava anche l’iscrizione al PNF del professore fin dal 1936; il provveditore, dopo una comunicazione telefonica, con lettera riservata personale nella mattinata successiva riferì tutto puntualmente al Segretario Federale, sostenendo che gli pareva “di dovere escludere ogni responsabilità da parte del Professore e che la denunciante aveva capito male ed aveva riferito peggio”. E concludeva “Esprimo il parere che nessun provvedimento in linea politica e didattica, tranne tuo contrario avviso, si debba adottare a carico del Prof. Rinaldi”.
La preside il giorno dopo sarebbe andata di persona ad illustrare la situazione al Segretario Federale, ma avrebbe continuato a lavorare con diligenza in una scuola, dove, nonostante tutto, “seriamente si opera e si studia”.