Una faticosa ricostruzione

Il secondo dopoguerra si apre con un problema che assillerà a lungo il Carducci”,  specialmente nei periodi di maggiore espansione: quello di una sede adeguata. Già nel 1946 si evidenziano carenze di spazio e alcune classi sono costrette, con i disagi  che ognuno può immaginare, ai turni pomeridiani. All’emergenza dell’edilizia scolastica si aggiunge il problema degli sfollati, ospitati nei locali di via de’ Romei.

Il vetusto palazzo Pendaglia non si libererà presto da questa vocazione (imposta) di rifugio d’emergenza e di testimone di tragedie storiche e calamità naturali: nel 1948  l’edificio viene requisito per dare un alloggio ai profughi istriani, mentre due anni dopo sarà la volta degli alluvionati di Poggio Renatico, rimasti senza casa dopo la  rovinosa rotta del fiume Reno. E i problemi, in questi anni, non arrivano soltanto dall’esterno, dato che nel giugno del 1948 la madre di una studentessa respinta non trova di meglio che schiaffeggiare una docente dell’Istituto, chiamandola “assassina” e “vigliacca”.

Nel frattempo, il giardino d’infanzia trova una sistemazione definitiva in via Carlo Mayr 106, sede che ben presto verrà segnalata dalla presidenza alle autorità cittadine per i suoi caratteri di inadeguatezza e tetraggine.

Il problema di offrire una sede adeguata alla scuola si fa pressante nei primi anni Cinquanta e, purtroppo, tenderà a cronicizzarsi, sia per una dinamica demografica e di popolazione studentesca che tende al rialzo, sia per una politica di edilizia scolastica che, a livello locale, non si muove oltre la logica della mera emergenza, malgrado le continue sollecitazioni da parte del preside Giuseppe de Manincor, succeduto nel 1944 a Claudio Varese.

La relazione finale della presidenza relativa all’anno scolastico 1951-52 fa riferimento, non senza preoccupazione, ad “un improvviso balzo in sù” delle iscrizioni, con 119 unità in più rispetto all’anno precedente. Le classi prime, che contano fino  a trentasette alunni per classe, sono sei, seguite da cinque seconde, tre terze e tre quarte.

L’auspicato ampliamento dell’edificio centrale non sarà approvato prima del 1954; nell’anno precedente, per far fronte all’emergenza iscritti, le scuole elementari “Guarini” concedono sette aule al “Carducci”. L’operazione viene accompagnata dalla protesta scritta della direttrice della scuola, ubicata in una zona che all’epoca  presenta forti emergenze di povertà ed emarginazione sociale (i vecchi conventi di Santo Spirito e Santa Maria delle Grazie, oggi prestigiose sedi universitarie, furono Foto di gruppo nella sede di via de’ Romei, anno 1951 per lungo tempo occupati da famiglie in condizioni di estremo disagio). Il disappunto della direttrice della “Guarini” nasce dall’osservazione che i bambini della zona, in mancanza di aule, rischiano di essere abbandonati alla strada, mentre avrebbero la necessità di essere occupati nella scuola durante le ore del mattino.

Come si può riscontrare, il “Carducci” del dopoguerra vive pienamente, al pari di altre realtà scolastiche, il clima di desiderio di rinascita misto a precarietà tipico delle città italiane in quel periodo. La situazione disastrosa dell’offerta di alloggi e di adeguati spazi pubblici si scontra vistosamente con le esigenze di riscatto personale e collettivo manifestate dalla maggioranza della popolazione. In un simile contesto, le incomprensioni fra la dirigenza del Magistrale e quella delle elementari mostra l’aspetto sconfortante della “guerra tra poveri”.

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