Una scuola che tempra al lavoro e ingentilisce l’anima
La preside Maria Menghini Maj, che diresse l’istituto Carducci dal 1927 al 1941, nel discorso pronunciato in occasione dell’apertura dell’anno scolastico 1928-29, invitava “i giovanetti ad affissare gli occhi ai ritratti dei giovani che appartennero a questo istituto, caduti per la vittoria delle armi italiane e, col pensiero rivolto all’esempio degli uomini grandi e forti, iniziare il nuovo anno di studio, persuasi che la scuola debba non indulgere per pietà alle vostre pecche e ai vostri errori, ma temprarvi al lavoro e ingentilirvi l’anima”.
E in effetti la scuola abituava i giovani alla serietà dell’impegno; è sufficiente sfogliare gli annuari degli anni ’20 e ’30 per rendersi conto della molteplicità di iniziative, alcune delle quali decisamente innovative, che venivano proposte e realizzate.
Tra i “felici esperimenti” va senza dubbio ricordato il ciclo di “letture” pubbliche dei Classici eseguite da allieve ed ex allieve dell’istituto, finalizzato “alla più larga diffusione e conoscenza, fra il popolo nostro, dei nostri, anche antichi, scrittori”.
Il primo “fortunato saggio” si tenne nel giugno 1925, voluto da Guido Marpillero, allora direttore dell’istituto e proseguì con successo negli anni seguenti, tanto che dal gennaio 1926 al maggio 1927 si tennero ben “otto letture, innanzi a numerosi e sempre attenti uditori, la più parte dei quali estranei al mondo della scuola” .
I programmi, curati dal prof. Giulio Neppi, ordinario di italiano e storia, furono stampati a spese dell’Università Popolare di Ferrara, una prova di come l’istituto, fin da allora, fosse attivo promotore di collaborazioni e patrocini con enti esterni .
A proposito di preparazione al lavoro, non si possono tralasciare le esercitazioni pratiche, svolte nelle ore di scienze naturali, consistenti nella coltivazione da parte di ogni allieva di varie piante ornamentali, nella raccolta di piante spontanee, durante le brevi escursioni con la docente, e nell’allevamento in classe del baco da seta, di un maggiolino e di alcuni bruchi. Ma l’istituto “Carducci”, in quegli anni, era una scuola che aveva come obiettivo precipuo quello di ingentilire l’animo, innanzitutto era sempre la preside che, rivolgendosi a scolari e famiglie, invitava “a considerare la scuola non soltanto come giudice e non annettere soverchia importanza alle votazioni e ai diplomi “e a riconoscere che” più che un diploma conta la conquista diuna seria cultura” 30 .
Sulla base di queste premesse, ogni anno venivano promosse una serie di attività finalizzate ad elevare il patrimonio culturale degli allievi che spaziavano dalle conferenze di storia dell’arte alle conferenze tenute dalle alunne del corso superiore alle compagne su argomenti di italiano, filosofia, storia, matematica e scienze ed alle visite e gite scolastiche.
Un momento importante era poi quello delle cerimonie e commemorazioni, fra le quali il posto d’onore spettava al concerto per la festa di S. Cecilia, il 22 novembre; solitamente il “Corriere Padano” dava un ampio resoconto della manifestazione, che si svolgeva di pomeriggio o nel vasto ed elegante salone della Casa del Popolo in via Savonarola o, a partire dagli anni ’30, nel Salone della Casa del Balilla; ad essa partecipavano “autorità civili e militari, presidi delle varie scuole, professori e maestri, cultori e amatori dell’arte musicale, signori e signore della miglior società ferrarese”, venivano eseguite “musiche per violino, per canto, per cembalo e pianoforte”, si esibivano solisti e cori; i giudizi della stampa cittadina erano sempre piùentusiastici, nel 1927, il “Corriere Padano” così scriveva: ”Diciamo subito di aver assistito ad una bella manifestazione d’arte, per l’esecuzione magnifica di un programma di musica italiana, scelta con schietto intendimento artistico”: l’anno dopo si esprimeva in tal modo: “Il pubblico lodò apertamente la felice scelta dei cori, fatta con gusto e con arte e la esecuzione condotta con sicurezza e colorito” e nel 1929 sottolineava “insomma una festa riuscitissima, due ore di musica squisita”, per non parlare del 1932 quando gli apprezzamenti erano rivolti direttamente alla scuola, affermando “l’istituto G. Carducci, dove seriamente si opera e si studia…” e “il buon gusto e il decoro che sono nelle tradizioni dell’istituto Magistrale” e si concludeva parlando di “successo brillantissimo” e di “valorosa prestazione degli esecutori”.
Questo l’istituto nel ventennio: una scuola fortemente femminile nella Dirigenza e nel corpo docente, nonostante i decreti legge, in quegli anni, cercassero di eliminare le donne dalla carriera scolastica superiore e, come la città di cui era parte integrante, “squisitamente fascista, signorile, aperta agli inviti che vengono dalla storia e dall’arte, come a quelli che vengono rivolti al suo senso d’umanità…”